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Intervista YMW: Honolulu Records e il Jazz contemporaneo.

Oggi su YMW vi parleremo di una nuovissima etichetta, la Honolulu Records nata a Milano pochi mesi fa dalle brillanti menti di dieci giovani amanti del jazz. Risponde alle nostre domande Dario Trapani, membro fondatore nonché artista presso il Collettivo T.Monk.

Come nasce l’etichetta e da quanto tempo siete attivi?
La data ufficiale di partenza è fissata ai primi gennaio di quest’anno, anche se erano cinque o sei mesi che io e i miei colleghi iniziavamo a riunirci per discutere di questa cosa.
L’idea di mettere su un’etichetta è partita più da un’esigenza che da altro. Io avevo già registrato il mio disco, Marco (Giongrandi) aveva pianificato di registrare il suo a giorni (parliamo dell’estate 2014), Marcella (Malacrida) e Riccardo (Chiaberta) stessa cosa: quindi ognuno di noi aveva un disco all’attivo o che stava per essere registrato. Io avevo fatto campagna di crown founding per il disco del Collettivo T Monk, avevamo raccolto abbastanza soldi, ma cercando un’etichetta non avevo trovato cose che mi piacessero. Avevo trovato chi mi producesse ma con condizioni penose: in Italia nel jazz underground comunque etichette ce ne sono, ma il modo in cui si alimentano è una dinamica malsana, che è comunque comprensibile perché viviamo in un era dove i dischi non si vendono. E’ assurdo che le etichette di questo tipo si mantengano vendendo le copie agli artisti stessi, è un cane che si morde la coda, e questo va a compromettere la riuscita artistica dell’etichetta.

L’unica soluzione possibile era l’auto produzione.
Insomma sì, ci siamo auto prodotti. Per ovviare a queste problematiche faccio tutto da solo e basta. Siamo dieci amici unitissimi, con gli stessi gusti musicali con band molto simili anche a livello di visione artistica…ci piace come suoniamo perchè non proviamo ad istituzionalizzarci? Facciamo delle auto produzioni che si susseguono con una continuità, così da aumentare la visibilità anche degli altri. Essere in dieci chiaramente è complesso, ma se uno riesce a far andare d’accordo dieci cervelli e ognuno ha il suo compito definito, si riesce anche ad ammortizzare le spese. Aprire un’etichetta è una progetto che, da solo, sarebbe una spesa consistente, ma per dieci persone ha un costo più leggero. E poi ognuno finanzia parzialmente anche il lavoro degli altri gruppi dell’etichetta, ma sa che quella persona aiuterà anche te in futuro.

Che detta così sembra una comunità di auto-aiuto!
Crediamo nella musica che ci piace, che ci accomuna, abbiamo gusti diversi ma accomunati da qualcosa…che non abbiamo ancora capito bene cosa, ma la passione per il jazz e per altre cose esterne al jazz sono una buona base.
Honolulu Records nasce in modo che ognuno di noi avesse un disco come lo volesse, che gli piacesse davvero, su cui ha avuto libertà decisionale e ha potuto registrare come voleva nello studio che voleva. E’ avere della libertà in più. Ognuno ha un compito e ognuno aiuta agli altri. E questo ti permette sicuramente di avere una resa maggiore.
Che è comunque una gran soddisfazione coi tempi che corrono. Che obiettivi si propone l’etichetta?
Sì, siamo molto soddisfatti del risultato, del piccolo seguito che c’è stato, dell’entusiasmo delle persone su Facebook, e della riuscita degli eventi che organizziamo.
Uno dei nostri obiettivi è riuscire a trovare un nuovo pubblico per la musica semi improvvisata e jazz. In Italia c’è qualcosa che non funziona nel sistema dei concerti jazz: nei grandi locali ci va gente abbiente perché costano tanto. Ma anche nei club più alla mano c’è poca curiosità da parte degli altri musicisti. In generale ci sono poche serate di jazz in settimana a Milano, ad esempio. E comunque pensare ad una musica dove chi ascolta sono solo gli addetti ai lavori è una cosa che non può funzionare, è cane che si morde la coda.
Ci interessa per questo portare la musica ai nostri coetanei soprattutto perché è musica altra quella che la influenza, non è sicuramente solo musica jazz. Insomma nessuno ha iniziato col jazz, perché il sistema non ti permette di iniziare con quel tipo di musica, non ti viene incontro da solo. Senti altre cose se accendi la radio o la tv, da piccolo quello che ti viene addosso ascolti. Poi quando cresci inizi a cercare, e mano a mano scopri sempre più musica. E’ importante avere un ricambio generazionale.
Vogliamo creare qualcosa che non sia formale, venduta come musica colta. Vogliamo eliminare il varco tra palco la gente. Io sono contentissimo di trovarmi davanti persone che ascoltano tutt’altro e alla fine si trovano ad ascoltare questa musica. Credo che la dimensione live di questa musica possa avere un peso importante per la sua diffusione. Il pubblico per quanto sia ineducato non è scemo: anche se uno va a casa e non si compra i dischi non importa, perché ha avuto comunque lo stimolo, è venuto a conoscenza di “qualcosa”.

Quanti siete all’interno di Honolulu?
Come dicevo, i gruppi sono stati formati prima dell’unione in Honolulu e coinvolgevano alcuni dei membri.. anche perché a Milano non c’erano troppi jazzisti: il jazz in fondo è un piccolo paesino. Ci sono degli esterni coinvolti, ad esempio nel collettivo, siamo in dieci ma qualche fiato lo prendiamo dall’esterno, perché in Honolulu ne abbiamo solo uno, Niccolo, presente in tutti i dischi prodotti fino ad ora.
Abbiamo in programma due produzioni di artisti esterni, perché vorremmo aprire le porte il più possibile come etichetta no profit, in cui l’unica ragione che ti spinge a fare le cose è che ti piaccia la musica che stai facendo.
Siamo positivamente rassegnati che il guadagno non ci sarà, ma è bello che i nostri dischi ci siano, li facciamo perché ci piacciono e basta.

Siete tutti italiani ma vivete sparsi per l’Europa a quanto ne so..
Esatto, siamo tutti di Milano e dintorni, ma adesso viviamo sparsi tra Milano, Amsterdam, Bruxelles e Londra. I meeting li facciamo su Skype, chi è a Milano va casa di qualcuno, poi ci si vede tutti su Skype. Quando c’è qualche evento si organizza con molto anticipo.

E quando c’è un progetto in cui “gli sparsi” devono suonare assieme?
Questa cosa non è ancora è successa,  tutto è nato quando ancora eravamo in Italia. Ma alla fine son cose che si fanno, siamo tutti buoni musicisti che, più o meno, riescono a mettere in piedi la musica in pochi giorni. Se la musica è scritta e organizzata bene basta provarla e organizzarsi in largo anticipo, sia come eventi che come prove.

Qual è il vostro rapporto coi social media? Il web ostacola o no il rapporto con chi fruisce della musica?
Di sicuro la diffusione è super coadiuvata dal web, puoi trovarci di tutto, anche le produzione più lontane uno le può andare a ritrovare. Allo stesso tempo però mezzi come Spotify sono criticati, gli artisti percepiscono quote ridicole. Non so alla fine è controversa come questione, di sicuro il web è il primo modo per fare musica adesso, ma magari non il supporto vero e proprio. Per me il supporto fisico è importante: ad esempio il vinile, come oggetto fisico in sé. Fare la presentazione di un disco senza un disco fisico è assurdo.

Da dove arriva il nome Honolulu?
Viene da una session di brainstorming in un’assemblea nella quale dovevamo decidere il nome…e non ha nessun significato. Ma ci ha dato un sacco di stimoli dopo,  anche grazie al gruppo di grafici a cui ci appoggiamo, Legno, che sono dei pazzi creativi geniali.

Nulla di troppo serioso, insomma.
E questo si ricollega al cambiamento di pubblico, vogliamo comportarci come ci comportiamo nella vita normale, non incravattarci o travestirci, vogliamo essere anche un po’ scemi come lo siamo sempre.

 Da dove traete ispirazione? Cosa ascoltate dentro e fuori da Honolulu?
Ti dico cosa ascolto io se vuoi: ascoltiamo tutti roba molto diversa, magari io ascolto cose che gli altri non amano particolarmente. Parto dal jazz tradizionale, Jim Hall, John Coltrane, Kenny Dorham. Oppure jazz contemporaneo tipo Jerome Sabbagh, Kit Downes oppure Peter Schlamb. E poi sto ascoltando un sacco di indie rock Tame Impala o gli Unknown Mortal Orchestra.

Ultima domanda: qual è il disco che aveste voluto produrre come etichetta?
Sicuramente Balladeering di Jakob Bro o Tinks di Peter Schlamb.

 

Per saperne di più guarda il sito il Honolulu Records, o seguili su Facebook.

 

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