Street And Bass

Willie Peyote. La dissonanza intonata fuori dal coro della banalità.

L’era Hip Hop è davvero finita con l’arrivo del rap nella grande discografia? Il grande successo della Trap, dei nuovi ritmi e delle nuove metriche più semplici, degli argomenti leggeri e, a volte, diciamolo, banali, spazzeranno via definitivamente ogni traccia del rap grezzo e diretto che tutti ricordiamo?

Da Torino arriva una risposta chiara e innovativa, che non cade nel solito compromesso del rap melodico al retrogusto di pop da classifica e non si rifugia nella sicurezza di riproporre atmosfere già sentite. Questa risposta si chiama Willie Peyote, conosciamolo meglio.

Guglielmo, in arte Willie, nasce a Torino nel 1985 e fin da giovanissimo coltiva la passione per la musica militando prima come bassista e poi come batterista in diversi gruppi del capoluogo piemontese. Nel corso dei suoi studi conosce il beatmaker Kavah che lo avvicina al mondo Hip Hop e gli fa capire che è proprio quella la strada che gli permetterà di creare il suo stile così unico e inconfondibile.

Già nel suo primo lavoro da solista, un album intitolato “Il manuale del giovane nichilista”, si evincono i fondamentali segni distintivi di questo artista: il cinismo, la voglia di portare il rap fuori dai comuni schemi fatti di tradizioni e dogmi e l’idea di dissacrare  – termine con il quale si definisce lui stesso –  temi e questioni piuttosto inusuali nella discografia italiana, uscendo anche dal politically correct e dimostrando che a volte può essere una maschera dietro la quale si nascondono luoghi comuni.

 

Da questi presupposti si evolve Willie Peyote che, dopo il suo primo prodotto, pubblica un EP, “Quattro sansimoni e un funerale” e, soprattutto diventa la voce dei Funk Shui Project per un album intero, assumendo uno stile più soul e R&B ed ampliando ancora una volta i suoi argomenti e le sue tecniche, raccontando l’amore, la società e le sue idee ed esibendo rime mai banali, tra cui la brillante “mi sento svuotato, come quel calzino accanto al bidè, che sembra lì da sempre, spaiato come me”.

 

Il suo secondo lavoro da solista è intitolato “Non è il mio genere, il genere umano” e già questo nome parla largamente del carattere dell’album. Cantato interamente da lui, senza nessuna collaborazione, contiene dodici tracce di sfogo e riflessione in pieno stile dell’artista e portano al loro interno un altro elemento fondamentale per lui: le citazioni. Peyote infatti ritiene molto importante citare altri artisti a cui si ispira, utilizzando questi richiami come ripresa e arricchimento di un discorso, unito al voler dire la sua a riguardo.

 

Il suo ultimo album, che forse chiude la prima parte della sua evoluzione stilistica, si intitola “Educazione Sabauda” e al suo interno si può trovare la sintesi di tutto ciò che questo artista ha sperimentato e vissuto, oltre ad una specie di monito, di inno che il Peyote canta per spiegarsi e spiegarci la sua missione in apertura del disco.

 

È proprio la voglia di essere diverso ma non alternativo, interessante non solo perché fuori dal coro e di far riflettere grazie all’imprevedibilità di ogni testo e rima che rendono Willie Peyote una delle più singolari personalità della scena italiana, che punta a musica di qualità e per un pubblico di qualità. Come afferma l’artista stesso: “Non funziono dentro a teste vuote”.

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