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Trent’anni di Live Aid ’85, la Woodstock della Generazione X.

“Good morning, you children of the eighties. This is your Woodstock and it’s long overdue”

Era il 13 luglio di trent’anni fa allo stadio JFK di Philadelphia e “l’usignolo di Woodstock” Joan Baez si rivolse in questo modo al pubblico prima di intonare una commovente versione di Amazing Grace.

 

Tralasciando per un attimo l’organizzazione mastodontica, la grande visibilità che diede agli artisti che vi parteciparono e il marketing che generò in seguito, è proprio dalla frase di Joan Baez che possiamo cogliere la vera essenza di ciò che rappresentò il Live Aid ’85:

un evento che, 16 anni dopo Woodstock, ha risvegliato le coscienze di milioni di persone grazie alla musica rock riguardo alle drammatiche condizioni di alcuni paesi africani, colpiti da tremende guerre e carestie e in generale sulle condizioni di miseria dei paesi del Terzo Mondo, in cui le prime vittime sono sempre i bambini.

Per capire come è nato il Live Aid bisogna però tornare indietro all’estate del 1984 quando la BBC trasmise un lungo servizio sulla tremenda carestia che stava colpendo l’Etiopia. La reazione dell’opinione pubblica fu immediata e il mondo della musica non restò certo a guardare: il leader dei Boomtown Rats Bob Geldof e quello degli Ultravox  Midge Ure riunirono i migliori artisti britannici e tra i quali Sting, Bono Vox, Phil Collins e Simon Le Bon e incisero il brano natalizio Do They Know It’s Christmas? devolvendo gli incassi alle associazioni umanitarie impegnate in Etiopia.

Gli Stati Uniti risposero alla grande a questa sfida della solidarietà con la splendida We Are the World scritta da Michael Jackson e Lionel Richie e prodotta da Quincy Jones. Parteciparono alla registrazione, oltre ai tre musicisti già citati, personaggi del calibro di Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Bob Dylan e Ray Charles.

Entusiasti dello strepitoso successo ottenuto dalle due canzoni, Bob Geldof e Midge Ure decisero di organizzare un evento irripetibile: i migliori artisti del passato e del presente della pop music sullo stesso palco, divisi tra il JFK Stadium di Philadelphia e quello di Wembley a Londra. Lo stesso Geldof non voleva neanche che il concerto venisse registrato per rendere lo spettacolo ancora più unico, ma per fortuna non tutti gli diedero retta e così ancora oggi coloro che non hanno potuto viverlo possono trovare tutte le esibizioni su YouTube e nel 2004 la Warner ha pubblicato anche un cofanetto composto da 4 DVD con il concerto in versione quasi integrale, con solo qualche esibizione mancante per problemi di diritti d’autore.

Tony Hadley, Midge Ure, Gary Kemp, Adam Ant, Bob Geldof e Elton John prima dell’arrivo dei “70.000 di Wembley”.

Il concerto partì da Wembley alle 12 del 13 luglio 1985 e poche ore dopo da Philadelphia: 2 miliardi di spettatori in 100 paesi del mondo seguirono l’evento via satellite. Numeri impressionanti per l’epoca, ma che anche al giorno d’oggi vengono raggiunti solo da grandi eventi sportivi come la finale dei mondiali di calcio o il Superbowl.

Ora vi mostrerò i 5 momenti più memorabili del concerto sia di Londra che di Philadelphia, anche se selezionare solo 5 frammenti di questo evento strepitoso che cercò davvero di cambiare il mondo, è un’impresa quasi impossibile.

Wembley Stadium, Londra.

-1 

I 25 minuti più intensi della storia del rock. I Queen entrano nella leggenda con un’esibizione da brividi e Freddie Mercury si afferma definitivamente come il più grande frontman di sempre: eseguono in successione Bohemian RhapsodyRadio Ga Ga, Hammer To Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We Are The Champions. Brian May e Freddie Mercury ritornano sul palco parecchie ore dopo per un’entusiasmante versione acoustica di Is This The World We Created?

-2 

Elton John invita sul palco un giovane George Michael, ancora membro degli Wham!, e accompagna al pianoforte la splendida voce del cantante nel brano Don’t Let The Sun Go Down On Me.

-3 

I Dire Straits di Mark Knopfler eseguono il brano Money For Nothing, pezzo forte del nuovo album Brothers In Arms, insieme a Sting come seconda voce e Phil Collins alla batteria: difficile chiedere più qualità al rock ‘n’ roll.

-4 

“I’d like to dedicate this song to my son, to all our children and to the children of the world”

Si esprime così il “Duca Bianco” David Bowie prima di lanciarsi in una commovente interpretazione di Heroes.

-5 

L’artista più corteggiato dagli organizzatori del Live Aid in quanto era di assoluta importanza che fosse presente almeno un membro della più importante band britannica e forse anche della storia per aumentare l’attenzione dei capi politici sul messaggio promosso dal concerto. Un problema tecnico rende la performance ancora più suggestiva: il microfono di Paul McCartney rimane spento per quasi due minuti durante Let It Be, ma il pubblico se ne accorge subito e comincia ad intonare il brano fino a quando il problema non viene risolto.

John F. Kennedy Stadium, Philadelphia

-1 

Quando si pensa al Live Aid lo si collega direttamente alla memorabile esibizione dei Queen, ma è doveroso ricordare l’impresa quasi eroica di Phil Collins. Dopo essersi esibito con Sting e i Dire Straits a Londra, sale su un Concorde e nel pomeriggio arriva a Philadelphia dove suona prima da solista, poi alla batteria con Eric Clapton e per finire sempre alla batteria in sostituzione del compianto John Bonham nella grande reunion dei Led Zeppelin.

-2 

La prima reunion dei Led Zeppelin dopo lo scioglimento nel 1980. Jimmy Page e Robert Plant forniscono un’esibizione sottotono, ma riescono comunque a trascinare i 90.000 del JFK Stadium grazie ai loro più grandi successi e al supporto dell’onnipresente Phil Collins alla batteria.

-3 

È ormai tarda notte a Philadelphia, il pubblico sta cantando e ballando dal primo pomeriggio e la stanchezza comincia a farsi sentire.

C’è bisogno di nuova energia e chi può darla meglio dei Duran Duran, uno dei gruppi più amati dai giovani degli anni ottanta?

Qui si cimentano in una formidabile versione del loro recente successo The Reflex con un Simon Le Bon in splendida forma.

-4 

Negli anni ’60 furono tra i protagonisti della Summer of Love californiana e lo sono anche in questa giornata dedicata alla solidarietà: loro sono i Beach Boys e si avvalgono dopo anni del loro leader e geniale compositore Brian Wilson, uscito da un lungo periodo di forte depressione e conseguente lontananza dalle scene.

Il momento in cui tutto il JFK canta Good Vibrations incitato dal cantante Mike Love è pura magia.

-5 

Una delle rivelazioni dell’intera manifestazione: i paladini del soul bianco Hall & Oates, dopo aver eseguito il loro successo Maneater, invitano sul palco Eddie Kendricks e Dave Ruffin dei Temptations per uno strepitoso medley dei più grandi successi del leggendario quartetto nato negli anni ’60.

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