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L’Era dell’EDM: Electronic Dance Marketing

La più astratta delle arti, invisibile, misteriosa, persino un dipinto, un affresco, un passo di danza o una pellicola sono più tangibili. Siamo davvero riusciti a ridurre la musica a qualcosa di veramente piccolo?! Uno squallido prodotto commerciale, oggetto di stravaganti strategie di marketing e assidue politiche promozionali per accumulare montagne di soldi. Provate ad immaginare il prodotto musica racchiuso in una confezione di cartone dai colori accesi su uno scaffale vicino ai prodotti per la casa o ai cosmetici, le creme di bellezza con le insegne luminose avvolto da quei profumi fortissimi, quasi nauseanti, che si trovano sempre al piano terra dei grandi magazzini. Givenchy, Prada, L’Orèal, Kenzo, Hugo Boss, Chanel, Calvin Klein, Musica. Sembra una proiezione ancora molto lontana, eppure è innegabile che stiamo viaggiando verso quella direzione. Fortunatamente non si tratta da sempre di un puro oggetto di compravendita basato unicamente sull’immagine, altrimenti molti degli artisti di cui i nostri genitori hanno acquistato e conservato i vinili, le cassette e i cd non sarebbero neanche arrivati ad impugnare un microfono o a suonare un accordo quando il business, pur ricoprendo in maniera indiscutibile una parte rilevante, non si era ancora imposto prepotentemente sulla cifra artistica.

In un mondo come quello che oggi molte persone etichettano con EDM (Electronic Dance Music…perdonate il lapsus nel titolo), dove spesso gli artisti vengono infangati dai rumors per la posizione che occupano secondo poca meritocrazia e in cui quasi più nessuno è consapevole di cosa stia facendo realmente il DJ al momento del live o a chi appartengano effettivamente le tracce che sta suonando, il nodo va individuato all’origine: ci troviamo in una dimensione in cui non è riscontrabile ad occhio nudo il talento o una concreta abilità in quanto ci è impossibile risalire a tutto ciò che concorre a costruire una esibizione o una produzione. Una volta, quando la musica veniva riconosciuta in quello che usciva dagli spartiti dei grandi compositori provenienti dall’Austria, dalla Germania, dalla Polonia e, non dimentichiamocelo, dall’Italia, molti di quelli che andavano a teatro a sentire l’opera e i concerti, erano persone di corte interessate ed appassionate attivamente di musica e di arti sceniche. Oggi la musica elettronica, diventata un fenomeno virale, in molti paesi è la rappresentazione esatta di come la cultura non si riesca più a produrre di prima mano, ma è sempre di sentito dire, visto da qualche parte, un prodotto che non ha il potere di imporsi e che si autogenera, legato e dipendente da tutto ciò che lo precedeva, trovandosi costretto a somigliare e ad emulare per poter sopravvivere. Nei pochi paesi che tendono a rappresentare l’eccezione alla regola, Olanda, Germania e Inghilterra, dove la musica è più viva e presente al centro di dibattiti e normali conversazioni, c’è l’abitudine a coltivare la diversità, dalla famiglia alla strada, dal bar al concerto, fino ai luoghi di celebrazione: ad Amsterdam Armin van Buuren si esibisce con l’orchestra reale in occasione del passaggio da Regina a Re (Willem-Alexander) dopo 123 anni (video qui sotto); a Berlino Paul Kalkbrenner suona in un concerto gratuito davanti alla Porta di Brandeburgo per i 25 anni dal crollo del muro (video in fondo). Ecco, quanto dovremo aspettare per vedere Porter Robinson a Times Square o ci dovremo accontentare di 20 ragazze che twerkano sul cancello della Casa Bianca? E quanto per Flume al Sydney Opera House? In Italia…in Italia forse Gabry Ponte seduto alla giuria di Amici di Maria De Filippi è il massimo che ci possiamo permettere al momento, eppure di nomi talentuosi ne avremmo anche noi.

Viviamo in un momento di grande rumore, sia in senso metaforico che in senso letterario, un rumore che potremmo essere in grado di riconoscere, ma siamo troppo pigri e superficiali per farlo e ci fidiamo delle foto, delle visualizzazioni, degli ascolti, di qualche frase stereotipata pronunciata a microfono, delle mani alzate e dei fuochi d’artificio. Da qui le etichette discografiche, appesantendo le proprie tasche, lievitano gli effetti di un meccanismo alimentato da questo business basato sulla produzione della hit (mentre il focus sul djing rasenta ormai lo zero) e da un bacino d’utenza diventato vastissimo, fondamentalmente poco curioso che ascolta e apprezza ciò che già conosce. L’utente medio è come se stipulasse un contratto con l’artista avente per oggetto “se mi suoni il disco che conosco (per cui ho ovviamente pagato il biglietto) continuerò a seguirti, ad ascoltare le tue tracce, a parlare e a scrivere bene di te“. È un comportamento e un modo di pensare che ci siamo trascinati dietro e di cui siamo sempre stati in qualche modo schiavi. Se pensate solo alla regolarità con cui i nostri genitori hanno sempre comprato e portato a casa l’acqua e i biscotti della stessa marca, per abitudine, perchè conoscono quella, guidati dalla convinzione che probabilmente sarà la migliore presente nel supermercato. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che anche noi facciamo parte e contribuiamo, forse inconsapevolmente, a questo processo di strumentalizzazione della musica. Se fans e followers fossero più interessati ad altri aspetti e predisposti a conoscere lati meno scontati di un semplice drop risentito in mille salse o di una parte vocale da cantare con le mani alzate, verrebbero a crearsi più valori ed opportunità anche in campo EDM, in particolare per quegli artisti emergenti che in questo momento si vedono in qualche modo costretti a produrre quel certo tipo di musica nel tentativo di avviare una propria carriera da DJ-Producer. Quante pop stars e rock bands conosciamo che suonano canzoni non scritte o composte direttamente da loro, i cui fan uscendo dai loro concerti pensano non solo “che belle canzoni”, ma anche “che voce e che performance”?! Ci risulta difficile oggi, purtroppo, parlare negli stessi termini di molti DJs. L’unico parametro oggettivo che ci resta per conoscerli è la loro selezione musicale: finiremo davvero per dover scegliere i nostri artisti preferiti scorrendo le tracklist dei loro live-set? Speriamo di no…non potrei mai perdonare i miei genitori per aver suonato i biscotti scontati sul primo scaffale nei primi 23 anni della mia vita quando di fianco c’erano le Gocciole.

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