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I Rapper sono tanti, milioni di milioni…

I Rappers sono tanti…milioni, il Rap è il genere, ascoltato da tanti, un gruppo indistinto di persone che si riconosce in una realtà, un sottobosco popolare che si è unito ed ha formato una vera e propria comunità. Una cosa la sappiamo il Rap è Figlio della cultura hip-hop nata nei ’70 ed esplosa nei ’90 negli U.S.A, nei ghetti neri dove la voglia di rivalsa e il malessere sociale fungevano da nucleo aggregante. Mentre a casa nostra, in Italia, abbiamo iniziato a percepirne l’odore, seppur in circostanze totalmente differenti, grazie ad un certo Alessandro Aleotti (J-Ax), ai tempi un fantasma per il panorama musicale dello stivale, ma siamo lì, gli anni erano i primi dell’ultima decade dello scorso millennio e si incominciava ad importare quello stile d’ oltreoceano.
Contemporaneamente un altro “faccia da pirla” proponeva lo stesso stile, molto più “fresh” rispetto al Rap “quello vero” che si proponeva in America, era Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, ancora non sapeva che San Siro lo avrebbe accolto a braccia aperte qualche anno più tardi… Ma non perdiamo tempo, non sono qui a parlarvi della storia del Rap italiano ne tanto meno di quello internazionale, mi serviva giusto una piccola “intro” al vero argomento dell’articolo che sta uno step più in là rispetto a quanto detto fino ad ora.

Vogliamo parlare del Rap al giorno d’oggi. Vorrei fare una domanda a tanti Rapper che negli ultimi anni stanno segnando il panorama italiano “Che cos’è per te il Rap?” E non pensiate che sia una risposta così Semplice.
La verità è che scorrendo la bacheca della home di Facebook , sbirciando qualche video su Youtube o semplicemente parlando con conoscenti, noto che esistono molti più Rappers di quelli che effettivamente conosco, di quelli che ascolto in radio, di quelli che vendono materialmente i dischi. Chiarisco: ci sono un sacco di comuni mortali, che da uno schermo o da un autoradio non sono mai passati che giurano di “fare del Rap” e credetemi alcuni di loro sono anche capaci di farlo, ma mi chiedo ”perchè così tanti pseudo-artisti, credono fortemente di essere rappresentanti di un genere? Cosa muove così tanti ragazzi a scrivere parole in rima e buttarsi nella rete cercando consensi? Forse l’idea di un obiettivo facilmente raggiungibile? (quello del successo immediato?) o semplice inconscio bisogno di appartenenza o ancor peggio mero schiavismo intellettuale dettato dalle speculazioni informative di chi, in tempi duri, ama raccontare solo il peggio della nostra società provocando facili reazioni di protesta? Il Rap forse è visto come il manifesto musicale più adatto per esprimersi.. Onestamente non lo so, di certo il Rap oggi non ci propone solo contestazioni ideologiche in rima, si parla anche d’amore e passioni (alla meno peggio), anzi, lo si “cerca” di cantare.
Per comprendere meglio il motivo di cotanti discepoli del Hip-Hop intorno a me, mi sono fatto un giro sul web, una piccola ricerca niente di speciale e ho trovato un soggetto che mi sembrava adatto, che sembrava facesse al caso mio, si chiama Raffaele, anni ventuno, nato a Latina ma studia e vive nella capitale, su Youtube ha un paio di video autoprodotti in cui canta brani scritti da lui, è uno di quelli che per ora di politica e problemi sociali non ha mai parlato, si concentra su argomenti più adatti per chi non ha ancora sviluppato una maturazione completa in ambito autorale e questo, per quanto mi riguarda, è già un punto a suo favore. A “BARKAOFFICIAL“, così si presenta sul tubo, chiedo innanzitutto quando è stata la prima volta che ha impugnato una biro per scrivere le sue rime e perchè l’ha fatto, mi spiega che tutto è nato da un naturale feeling con la musica del sopracitato J-Ax sin da quando era ragazzino, da lì ha ampliato la propria conoscenza del genere e degli artisti che lo costituivano sino a provare il bisogno di fare parte di quel mondo, a 17 anni scrive il primo “pezzo”, che non ha tutt’ora prodotto musicalmente. Gli faccio notare che 10 mila visualizzazioni non ti rendono praticamente nessuno e che il suo J-Ax appartiene a un mondo che da lui è distante ancora milioni di chilometri, ma Barka mi risponde che è ben consapevole di questo e che il mondo di cui stiamo parlando non è fatto solo dei soldi che potenzialmente possono entrarti in tasca, ma è ciò che rappresenta chi ne fa parte, che costituisce il suo vero sogno, il suo “successo”. Mi faccio chiarire questo concetto e ottengo una risposta effettivamente valida di cui cito testualmente le parole: “l’essere la guida ispiratrice, essere l’esempio per qualcuno, seppur di qualcosa di non trascendentale come può essere l’intrattenimento musicale, rappresenterebbe il mio vero successo, J-Ax è stato per me esattamente questo”.
Forse siamo arrivati al nocciolo della questione, traggo le mie conclusioni mediando ciò che ho percepito accostandomi al Rap per scrivere questo articolo e le risposte ottenute da Raffaele. I rappers sono figure prolisse per definizione, amano amarsi e farsi amare dagli altri, sicuramente la nostra cultura negli ultimi anni ha preso un’inclinazione egocentrista incrementando così il numero di soggetti che vorrebbero stare sotto i riflettori, ma non possiamo per questo(a priori) fare dell’egocentrismo una colpa. Pertanto credo che il caro vecchio Rap sia semplicemente uno degli epicentri più adatti per la manifestazione del proprio “voler apparire” per dire, fare o rappresentare qualcosa, che se detto, fatto o rappresentato al meglio ha tutto il diritto di esistere.
Fatevi avanti giovani oratori, se avrete qualcosa di interessante da dire sarà l’umana coscienza a portarvi sul podio.

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