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Addio al “King of the blues”

Si è spento ieri, nella sua casa di Las Vegas, un altro grandissimo della musica dello scorso secolo, ossia quel B.B. King (vero nome: Riley B. King) che è stato (e ancora sarà in futuro) fonte d’ispirazione per migliaia di chitarristi blues e rock. Non esiste infatti ragazzo che, iniziando a suonare la chitarra, non abbia preso spunto, anche indirettamente, da quanto fatto dal King of the blues nell’arco dei suoi 65 anni di carriera (lui ne avrebbe compiuti 90 fra quattro mesi): il fatto che sia persino considerato l’iniziatore di un particolare tipo di vibrato, chiamato “hummingbird” (ossia “colibrì”, dal movimento che la mano sinistra compie sul manico della chitarra) è lì a dimostrarlo. Non a caso, poi, risulta quasi impossibile contare il numero di collaborazioni (live e in studio) alle quali King ha preso parte, segno dell’enorme stima di cui il bluesman del Mississippi godeva nel mondo della musica. Fra queste possono essere ricordate, a mero titolo di esempio, quelle con Eric Clapton (che oggi ha pubblicato sul proprio profilo Facebook un video in cui ricorda il collega/amico), Stevie Ray Vaughan, Elton John, gli U2 e Luciano Pavarotti, alcune delle quali testimoniano come il tipo di blues proposto da B.B. King potesse adattarsi a diversi contesti musicali e non fosse fossilizzato sugli stilemi della prima metà del ‘900.

Dal punto di vista musicale, i brani di B.B. King (inserito nella Rock And Roll Hall of Fame nel 1987) si sono sempre contraddistinti per l’alternanza tra la voce (in parte graffiante, ma soprattutto profonda, grazie all’esperienza del canto gospel degli anni giovanili) ed il suono della sua Gibson ES-355, soprannominata “Lucille“, andando così a creare un effetto dipinto perfettamente da una famosa citazione di B.B. King stesso:

When I sing, I play in my mind; the minute I stop singing orally, I start to sing by playing Lucille.”

Iconograficamente parlando, invece, l’immagine del re del blues che rimarrà impressa nelle menti di tutti è quella di un uomo abituato ormai da molti anni a suonare seduto, sia per problemi di salute (il diabete lo affliggeva già da vent’anni circa), sia perché l’età avanzata ed il fisico non gli permettevano più di affrontare le numerosissime date dei suoi tour stando sempre in piedi.

Una delle caratteristiche principali di tutta la carriera di B.B. King è infatti sempre stato l’amore per le esibizioni dal vivo, che l’ha portato a tenere (e, in età giovanile, anche a superare) la media di duecentocinquanta show all’anno.

Inoltre, l’immagine di B.B. King rimarrà sempre legata alla già citata Lucille, la chitarra nera che il bluesman del Mississippi sembrava prendere in braccio ad ogni esibizione così come un padre o un nonno fanno con la propria figlia o nipote. D’altra parte, lo stesso B.B. King, nella canzone dedicata alla sua Gibson, racconta di come abbia rischiato di morire per lei e di come lei gli abbia salvato la vita in più di un’occasione. Non è dato sapere quanto ci sia di reale e quanto di fantasioso nel testo di Lucille, ma a noi non importa, perché il tutto contribuisce a dare a B.B. King un posto tra le leggende della musica del ‘900, là dove merita di stare.

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