Street And Bass

Intervista YMW: Dargen D’Amico racconta D’iO e il Papa…

3 Febbraio 2015: Dargen esce con D’iO, il nuovo album (sesto per l’esattezza) a quasi due anni di distanza dall’ultimo suo prodotto.

L’album è interessante e ricco di spunti accompagnato da sonorità che lo riportano ai primi album da solista e si allontanano un po’ dai ritmi, forse a tratti troppo aggressivi, di Vivere Aiuta a Non Morire. Gradito ritorno per gli appassionati e non solo, all’interno ci sono dei brani di facile fruizione anche per i non amanti dello stile in rima, che riusciranno siamo sicuri, a comprenderne le qualità.

Non è un album Rap, è un album di Dargen, di questo siamo più che certi.

Per dovere di cronaca siamo passati in Universal durante la conferenza ufficiale del disco e gli abbiamo potuto fare qualche domanda. Un grazie al lavoro degli altri giornalisti è doveroso. Vediamo come è andata…

 

Partiamo dal nome, perchè D’iO scritto in questo modo, puoi spiegarcene il significato?

Mi è venuta voglia di guardare ciò che avevo fatto fino ad oggi, 10 anni dove ho scritto tanti pezzi e nei brani ho riconosciuto che spesso la mia era una scrittura che oscillava tra il particolare e l’universale. Non c’era titolo più adatto per racchiudere tutto quello che ho fatto perchè Dio con l’apostrofo si legge Dio, ma ha l’apostrofo che divide e contraddistingue il cognome di questo progetto, che poi è il mio. Io come singolo, artista singolo… e questo è il motivo del titolo.

Il titolo si ricollega anche all’assenza di Featuring che nello scorso album erano molto presenti?

Si, ora che mi ci fai pensare si, e nelle prossime risposte alla prima domanda lo dirò… io sono una persona molto semplice e lavoro a codice Binario: 0 oppure 1 quindi se nel disco precedente ho molti ospiti nel disco successivo ne avrò meno o non ne avrò, è una questione di stimolo cercare qualcosa che si allontani dal precedente, anche per me perchè non mi rimetterei mai a lavorare su brani simili con artisti simili… posso anche permettermelo,  fossi Laura Pausini sarei quasi obbligata a mostrare parti del corpo… io posso fare come preferisco (e meno male per voi). È un disco in cui mi guardo all’interno e ciò ha precluso di condividere alcuni brani con altri, anche perchè c’era meno budget (ridendo).

Eppure seppur guardandoti dentro il primo pezzo dell’album è “La mia generazione” che è qualcosa  che deve essere condiviso per forza con altri.

Si… però per scrivere un brano “generazionale” che poi non è certo il primo brano che utilizza questo tema, io mi sono dovuto mettere alla prova, mi sono detto “vediamo se sono in grado di scrivere un brano del genere” e quindi mi sono messo a nudo per vedere se potevo parlare anche di altri, sono riflessi della tua generazione che vengono colti da chi guarda da fuori. È sempre difficile scrivere brani che raccolgano sensazioni comuni… non ho fatto un Selfie ma ho fatto una panoramica di quello che siamo. Anche Andreotti una volta era uno della generazione X e poteva dire delle cose “simili”, o che ne so il Papa, ci siamo passati tutti nella generazione sotto il microscopio e io ho provato a raccontare la mia. (Però Andreotti non lo scrivere).

La tua generazione ha perso o ha vinto?

Mah non facciamo sempre le cose come se fosse una gara, la politica in questo è maestra, le gare dirigono i consensi le antipatie i disagi… la realtà è un’altra e non c’è niente da vincere o niente da perdere… questo forse lo pensa anche il Papa.

La traettoria del Rap italiano è destinata a mantenersi viva?  Vista dall’interno non la vedi un po’ come una bolla?

Sì è una bolla, però le bolle sono interessanti perchè quando ero piccolo ci passavo le giornate, perchè anche dopo che scoppiano ce ne sono altre con cui giocare… hanno un fascino molto forte, una volta che scoppierà la bolla resteranno artisti capaci maturi e ce ne sono molti che hanno cominciato ben prima della bolla, è un genere molto utile per la musica italiana in un periodo in cui tutti si erano seduti sugli allori il rap ha parlato di argomenti un po’ diversi, quindi al Rap bisogna riconoscere un valore anche negli ultimi 4/5 anni. Io sono convinto che sia un genere molto antipatico, basta un attimo per parlar male di un rapper e marciarci sopra per un po’ e molte fanzine Indie e giovanili vivono di questo.

 

YMW

YMW

Sanremo? Ci hai mai pensato?

Quest’anno sì. Ti devo dir la verità che avrei voluto partecipare, avevo in mente due brani da proporre ma ormai non ha più senso citarli…

Brani dell’album?

Si tutti e due sono all’interno dell’album. Io ero già stato a Sanremo con Andrea Nardinocchi però avevo più una veste discografica e mi ha sempre affascinato il festival… avrei voluto viverlo sulla mia pelle in qualità di artista. Mi è sempre piaciuto anche perchè oggettivamente guardando le canzoni delle varie compilation si ritrova la situazione della musica italiana di quegli anni, è da sempre così.

Nel brano Modigliani racconti come l’arte dell’artista venne rivaluta post mortem, succede spesso anche negli ultimi tempi volevi riferirti anche a loro?

Guarda qualche hanno fa ero solito finire i miei Dj-set con bella d’estate di Mango, che io considero un capolavoro ma veniva vissuto come un momento diciamo di Revival-Trash… ultimamente ho suonato un pezzo di Dalla e Mango (“Forse che Si, forse che No” ndr.) ed è stato vissuto come un momento religioso. A volte la morte è utile e gli artisti purtroppo non sfruttano quello che diventano dopo la morte. Fosse per me con le nuove tecnologie tornerei in vita dopo due tre anni in modo da fare l’album definitivo dopo la morte.

Il disco ha avuto qualche ispiratore principale? Milano forse?

Guarda i nostri organi di senso catturano tutto, sono dei ladri, io non ho la fortuna o capacità di dire “ok ora scrivo un brano visto che mi sento ispirato”, non sono attento e ordinato, se un film mi piace ad esempio io mi addormento perchè raggiungo la pace. Potrei scrivere una canzone sulla Narcolessia forse… certo che però Milano è la città dove riesco a scrivere meglio. L’idea del brano “Amo Milano” nasce a seguito del chiacchericcio che c’è riguardo alla città. Il bello di Milano è che non si sa se è fatta da meriti o demeriti, è una maledizione continua che crea fascino. Il brano al quale ho voluto dedicare più tempo è Modigliani e pensate che sono andato in Islanda da solo per un mese a scriverlo nella ricerca di un’idea, invece non ho fatto nulla. Sono tornato a Milano in un sottoscala in Bovisa e ho scritto la prima versione della canzone, in un attimo, quasi come se  Milano fosse l’unico ambiente in cui riesca naturalmente a scrivere. Milano è come un genitore, un ventre materno che mi conosce e ha seguito il mio processo creativo, per me c’è tutto, è un insegnamento continuo, un microcosmo che regola i rapporti umani, disumani forse è più corretto, ma nonostante questo sono molto riconoscente.

Una delle canzoni più “strane” è  La Lobby Dei semafori. Ci dici qualcosa in più?

C’è da dire che ho un brutto rapporto coi semafori ed è proprio per questo che ho idea che loro mi ostacolino. Quando ho un appuntamento voglio fare la strada più lunga ma con meno semafori, non li sopporto proprio; preferisco arrivare in ritardo per i fatti miei piuttosto che in ritardo per colpa loro. Originariamente volevo chiamare la canzone l’Hobbit dei semafori come se ci fosse un Elfo dentro i semafori che quando passa D’Amico urla “Rosso!!” e in successione anche gli altri semafori facciano lo stesso “Rosso… Rossoo”.

 

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